Files informatici: “cose mobili” ai fini dell’appropriazione indebita ex art. 624 c.p. Nota a Cass. Pen. n. 11959 del 10.04.2020

Nel caso si è ritenuto fondata la condanna del dipendente di una società che, prima di presentare le dimissioni, aveva restituito il note-book aziendale con l’hard disk formattato senza traccia dei dati originariamente presenti, poi parzialmente rinvenuti in un pc dello stesso dipendente.

La sentenza, esempio calzante del cd “diritto vivente, conscia del mutato panorama delle attività che l’uomo è in grado di svolgere, afferma la necessità di considerare in modo più appropriato i criteri classificatori utilizzati per la definizione di nozioni che non possono rimanere immutabili nel tempo.

La Seconda Sezione penale ha enunciato il seguente principio di diritto:

“I dati informatici, contenenti files, sono qualificabili “cose mobili” ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato”.

Secondo tale innovativa pronuncia i dati informatici, per struttura fisica, misurabilità delle dimensioni e trasferibilità, devono essere considerati come cose mobili ai sensi della legge penale.

La Corte così modifica un orientamento precedente [1], il quale escludeva che i files potessero formare oggetto del reato di cui all’art. 624 c.p., ritenendosi che, rispetto alla condotta tipica della sottrazione, la particolare natura dei documenti informatici rappresentava un ostacolo logico alla realizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice (la semplice copiatura non autorizzata di files contenuti in supporti informatici altrui non realizzava l’effettivo smarrimento  del bene da parte del legittimo proprietario).

La Corte ritiene che nell’interpretazione della nozione di cosa mobile, contenuta nell’art. 646 c.p. in relazione alle caratteristiche del dato informatico (file), ricorre quello che la Corte Costituzionale con sentenza n. 414 del 1995 ebbe a definire il “fenomeno della descrizione della fattispecie penale mediante ricorso ad elementi (scientifici, etici, di fatto o di linguaggio comune), nonché a nozioni proprie di discipline giuridiche non penali, situazione in cui il rinvio, anche implicito ad altre fonti o ad esterni contrassegni naturalistici non viola il principio di legalità della norma penale”.

E, partendo da un interessante excursus dalla giurisprudenza precedente, approfondisce la disamina del concetto di bene mobile/file,  per giungere alla nuova concezione di bene penalmente tutelato anche per le nuove cognizioni scientifiche, ritenendo al fine che il file “pur non potendo essere materialmente recepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla  grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i file possono essere conservati e elaborati”.

Tali caratteristiche confermano il presupposto logico-giuridico della possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione.

D’altronde, parallelo d’esperienza è con l’omologo dell’illecito “trasferimento” di somme di denaro da un conto corrente all’altro tramite operazioni on line, quindi anche senza l’intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo. Almeno per come intese finora.

Attenzione: l’appropriazione indebita si differenzia dal “furto di informazioni” poiché nell’ultima ipotesi non vi è la perdita definitiva da parte del titolare dei dati informatici. La sottrazione dell’agente è volta ad acquisire la conoscenza delle informazioni contenute nel dato informatico attraverso la “copiatura” ed i dati restano comunque nella disponibilità materiale e giuridica del titolare.

Ovviamente la sentenza non deve però essere vista come un punto di arrivo definitivo ma va inserita nella circolarità realtà/diritto come un punto di partenza.

In tempi di Covid  è necessaria l’implementazione delle attività umane attraverso l’uso degli strumenti digitali, si rafforza l’idea della necessità di un Codice ad hoc dei beni “informatici”, con normativecapaci di recepire le concrete ed effettive esigenze di un settore ormai autonomo – quello digitale – che richiede uno sforzo intellettuale, da parte del Legislatore come a chi si occupa di Giustizia, superiore al mero richiamo alle categorie generali del diritto applicate all’ambiente web o all’informatica in generale.

Avv. Matteo Giovine

Avv. Enrico Perrella

 

[1] Cfr. Cass. Pen n. 3449 del 2003 e Cass. Pen. n. 44840 del 2010

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