Gli investimenti corporate nelle start up (il “Corporate Venture Capital”)
La rivoluzione digitale e tecnologica del nuovo millennio sta contribuendo all’esponenziale diffusione del corporate venture capital (“CVC”), l’investimento di minoranza nel capitale di start-up innovative da parte di grandi imprese non finanziarie. Il fenomeno, ormai radicato negli Stati Uniti, è ancora in fase di sviluppo in Italia, dove negli ultimi due anni si è assistito a una crescita significativa degli investimenti CVC.
Il CVC è strumento capace di soddisfare al contempo (i) l’esigenza di accesso all’innovazione e al know-how tecnologico da parte delle grandi imprese mature (che tendono sempre più a prediligere l’open innovation rispetto ai processi interni di ricerca e sviluppo) e (ii) la necessità da parte delle start-up di reperire in tempi rapidi ingenti risorse per implementare ed accelerare i processi innovativi.
Tuttavia, il CVC pone anche un serio problema di prevenzione e gestione dei conflitti di interessi all’interno della start-up, che presentano peculiarità rispetto ai conflitti caratteristici delle società “tradizionali”. Si pensi, anzitutto, al potenziale conflitto derivante dalla coesistenza, nella medesima compagine sociale, di investitori CVC, che perseguono prevalentemente finalità di carattere strategico, e tradizionali fondi di venture capital, interessati al puro e semplice ritorno finanziario dell’investimento.
I soggetti coinvolti tentano di prevenire e mitigare simili conflitti mediante un ampio ricorso a strumenti negoziali (patti parasociali, articolati contratti di finanziamento, ecc.), modulando di conseguenza i diritti attribuiti a ciascun socio. Tuttavia, attraverso la negoziazione è impossibile prevedere e regolare ex ante tutte le possibili situazioni di conflitto, tanto più che nelle start-up gli equilibri e gli interessi possono mutare in maniera estremamente rapida e imponderabile e la struttura finanziaria della società si fa sempre più complessa man mano che essa cresce.
Ecco allora che gli amministratori della start-up si trovano a dover gestire delicate situazioni di conflitto, soprattutto ove l’eterogeneità d’interessi all’interno della compagine sociale sia molto marcata. Emerge quindi l’esigenza di un’adeguata valutazione dell’operato degli amministratori e dei relativi profili di responsabilità, che tenga in considerazione le specificità della start-up partecipata da investitori di vario tipo. Esigenza, questa, che non sembra poter essere soddisfatta appieno dalle ordinarie regole e teorie di corporate governance, concepite per modelli societari e di business più tradizionali.
L’Avv. Paolo Tullio propone alcune riflessioni sul tema in un articolo appena pubblicato sull’ultimo numero della rivista Analisi Giuridica dell’Economia (1-2/2021) (www.rivisteweb.it/isni/68444).