La società sottoposta a procedimento penale ex d.lgs. 231/2001 può beneficiare della messa alla prova?

Com’è noto nel delineare il sistema normativo introdotto dal d.lgs. 231/2001, il legislatore ha scelto per un tertium genus di responsabilità, costruendo un particolare corpus normativo che comprende tratti sia amministrativi che penali.

In tema di responsabilità degli enti il 7 febbraio 2024, il Tribunale di Perugia con ordinanza (sotto riportata) si è, apparentemente, discostato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 14840/2023 ritenendo ammissibile l’istituto della messa alla prova anche nei confronti dell’ente.

 

Le norme relative all’istituto della messa alla prova ed il d.lgs. 231/2001, non contengono alcun riferimento agli enti quali soggetti destinatari. La possibile applicazione di tale istituto è stata più volte oggetto di decisioni contrastanti nella giurisprudenza di merito.[1]

 

Investite della questione, le Sezioni Unite non hanno ritenuto applicabile l’istituto per diverse ragioni.

In primis, la messa alla prova, ex art. 168 bis cp, si inquadra nell’ambito di un trattamento sanzionatorio penale e, pertanto, risulta incompatibile con la responsabilità amministrativa dell’ente sulla base del principio di riserva di legge di cui all’art. 25, co.2. Cost. Né l’applicazione può avvenire attraverso l’analogia in bonam partem, sulla base del principio di tassatività, o l’interpretazione estensiva. Le SS.UU. ribadiscono, difatti, quanto la disciplina della messa alla prova sia formulata e modulata sull’imputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili, non rendendola idonea per essere applicata anche agli enti.

 

Di tutt’altro avviso il Tribunale di Perugia che, con citata ordinanza, si discosta da tale orientamento soffermandosi su due principali quesiti.

 

Con riferimento all’efficacia vincolante o meno del principio di diritto enunciato dalle SS.UU., nonché questione preliminare, il vincolo derivante dal principio affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione si riferisce esclusivamente all’oggetto del contrasto interpretativo rimesso e non si estende ai temi accessori od esterni, come delineato nella sentenza della Corte di cassazione n.49744 del 7 dicembre 2022.

Difatti, la rimessione obbligatoria è prevista laddove il collegio di una delle sezioni semplici ritenga di non dover condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite.

Secondo il Tribunale di Perugia, “deve escludersi che la affermata inapplicabilità agli enti della disciplina della messa alla prova possa spiegare effetti vincolanti, trattandosi di un tema in alcun modo collegato con l’oggetto del contrasto giurisprudenziale rimesso in quel caso alle Sezioni Unite, che atteneva a una questione prettamente processuale legata alla legittimazione da parte del Procuratore Generale all’impugnazione dei provvedimenti emessi in tema di messa alla prova”.

 

Con riferimento, invece, alla possibile applicazione agli enti dell’istituto della messa alla prova, i giudici di merito dubitano che l’istituto possa essere equiparato sic et simpliciter ad un trattamento sanzionatorio, in quanto quest’ultimo non contempla il coinvolgimento e la volontà dell’imputato. Inoltre, l’esito positivo del lavoro di pubblica utilità ha natura di causa estintiva del reato, ampliando le possibili scelte difensive dell’ente. Di conseguenza, “in assenza, dunque, di effetti sfavorevoli nei confronti dell’ente – chiamato a svolgere lavoro di pubblica utilità solo in presenza di un suo espresso consenso e con effetti estintivi dell’illecito contestato – l’applicazione della disciplina della messa alla prova appare compatibile con il sistema di responsabilità da reato di cui al d.lgs. n.231/2001, dovendosi escludere la violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, tenuto conto che il divieto di analogia opera soltanto quando genera effetti sfavorevoli per l’imputato”.

Pertanto, non è più da considerarsi come assoluto il divieto di analogia in materia penale, volto alla garanzia della libertà del cittadino. Quest’ultimo, infatti, non può essere pregiudicato dal riconoscimento al giudice del potere di applicare analogicamente norme incriminatrici in senso sfavorevole. Tale divieto è rivolto solamente alle disposizioni punitive. Secondo i giudici, il contrasto tra l’applicazione analogica dell’istituto della messa alla prova agli enti è meramente apparente. Le cause di estinzione del reato, non avendo carattere eccezionale, sono suscettibili di applicazione analogica.

Non è neppur possibile escludere l’applicazione dell’istituto sulla base della disomogeneità della responsabilità delle persone fisiche e giuridiche. Non a caso è lo stesso legislatore, agli artt. 34 e 35 del decreto legislativo in questione, ad operare un rinvio al codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all’imputato in quanto compatibili, compiendo un espresso richiamo analogico.

Nel caso di specie, il Tribunale di Perugia, rilevando che la società aveva risarcito integralmente il danno subito dalla persona offesa e dai suoi familiari, che era stata rimessa la querela e conciliato il procedimento giuslavoristico, che aveva adottato il modello di organizzazione gestione e controllo con il relativo Odv, che aveva rispettato la normativa del codice etico adottato, dispone la messa alla prova della società per sei mesi (organizzazione con la Croce Rossa di un corso di formazione di primo soccorso, sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, oltre il versamento di somme alla stessa Croce Rossa per l’acquisto di DPI e automedica).

Non può che ritenersi urgente un intervento normativo in merito o delle Sezioni Unite

 

           

 



[1] Trib. Milano, 27/03/2017, Trib. Bologna, 10/12/2020, Trib. Bari, 22/06/2022

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