La valutazione dei deficit la compie il Giudice non l’avvocato. Appare logico, ma non sempre. Cass. n. 14681 del 27/05/2024
La sentenza della Corte Suprema si segnala per vari profili: sia per aver compiuto un’utile chiara summa riepilogativa dell’istituto dell’Amministrazione di Sostegno nei suoi tratti essenziali; sia per il peculiare contenuto del decreto della Corte d’Appello impugnato che, da un lato, aveva disatteso le chiare conclusioni del CTU sull’accertamento di un decadimento cognitivo del beneficiando e dall’altro non aveva vagliato e valutato le condotte del beneficiando che avevano comportato il depauperamento del suo patrimonio. La S.C. trancia di netto il ragionamento della Corte territoriale che, in modo ancor più peculiare, aveva spostato la doverosa valutazione sul beneficiando dal Giudice ai professionisti incaricati da quest’ultimo di una pluralità di azioni giudiziarie.
Il caso, vede il ricorso promosso dai fratelli del beneficiando avendo questo posto in essere numerosissime iniziative giudiziali civili e penali (infondate) contraendo ingenti debiti nei confronti dei professionisti incaricati, nonché cedendo beni a prezzi gravemente incongrui e rischiando cosi l’indigenza. Il Tribunale considerati i comportamenti che avevano portato a “molteplici incarichi professionali conferiti nella convinzione che la sua quota d’eredità potesse valere dieci milioni di Euro, aveva accettato preventivi per compensi parametrati a detto valore, salvo poi revocare taluni mandati e subire aggressioni giudiziarie non facilmente contrastabili; le iniziative penali rivelatesi probabilmente infondate avviate contro notai, CTU e loro collaboratori “colpevoli”, evidentemente, di non avere corrisposto alle sue irragionevoli aspettative; la cessione del credito da Euro 1,9 milioni verso le società di famiglia, al prezzo di 1 milione, con perdita secca di Euro 900.000,00; – il rapporto con degli investigatori privati, verso i quali si era obbligato a pagare oltre Euro 100.000, consegnando loro assegni non compilati e scoperti e promettendo la cessione del 10% della sua quota ereditaria”, nonché la diagnosi della CTU svolta che aveva accertato un deficit cognitivo del beneficiando, nominava un amministratore di sostegno.
La Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento del reclamo proposto dal beneficiario, revocava l’amministratore di sostegno, disattendendo la consulenza medica svolta e affermando, in relazione ai comportamenti che avevano portato alle plurime iniziative ad asserita tutela dei propri interessi, che, casomai, dovevano essere valutate le responsabilità dei professionisti coinvolti, i quali evidentemente all’atto di assunzione del mandato ed anche successivamente, avevano ritenuto il beneficiario privo di deficit cognitivo (!).
La Cassazione rileva la totale illogicità della pronuncia della Corte d’Appello, affermando, sotto un primo profilo che, se la CTU svolta si riteneva di disattenderla in ragione delle carenze cliniche della stessa, poteva essere rinnovata e/o approfondita anche ex officio o almeno dovevano essere rinnovate e/o approfondite le disamine sulle condotte che rischiavano di portare all’indigenza il beneficiando.
Sotto un secondo profilo, la valutazione delle plurime condotte del beneficiario, anche valutate nel loro complesso era particolarmente carente al fine di ricostruire o un quadro di debolezza e fragilità del beneficiario o un’esclusione di tali difficoltà. Difatti, la S.C. ha rilevato quanto all’eccentrica considerazione della Corte d’Appello sulle attività dei professionisti incaricati dal beneficiando, che “il promovimento di plurime azioni giudiziarie non poteva essere l’elemento determinante su cui basare il giudizio di scemata capacità di autodeterminarsi, sul rilievo che il beneficiario era stato comunque ritenuto dai professionisti dal medesimo incaricati, privo di deficit cognitivi e relazionali e sufficientemente capace di sviluppare un ragionamento logico, così come le considerazioni in merito alla eventuale responsabilità dei professionisti coinvolti, ove dovessero emergere violazioni dei doveri deontologici nello svolgimento delle incombenze professionali affidategli, spostano inopinatamente l’onere di valutare le esigenze di tutela del beneficiario sui professionisti, non appartenenti al settore medico, dallo stesso coinvolti nelle sue iniziative”.
La S.C., quindi, cassa in toto la pronuncia di merito poiché la valutazione da fare nel caso di specie – con o senza l’approfondimento o rinnovazione degli esami psicofisici – è quella afferente “ al quadro complessivo deducibile in via indiziaria attraverso la verifica dell’adeguatezza degli strumenti giudiziari messi in campo per perseguire tale obiettivo, della proporzionalità e della compatibilità degli stessi alle disponibilità economiche del beneficiario e del rischio per lo stesso di un pregiudizio economico rilevante tale da condurlo all’indigenza, della complessiva gestione di un contenzioso in crescita esponenziale e del coordinamento non solo delle diverse iniziative, ma anche dei molteplici professionisti coinvolti (non necessariamente a conoscenza di tutte le iniziative poste in essere dall’interessato)”.