Scarico delle acque piovane e servitù di scolo

Cassazione Civile, sez.II n. 11827 del 2.05.2024

Il proprietario di un immobile cita in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Udine, il proprietario dell’immobile confinante ed adiacente (dato che il tetto dell’immobile del convenuto appoggia sul muro della proprietà attrice) denunciando e rivendicando danni da infiltrazioni di acqua al proprio immobile provenienti dal tetto del convenuto.

Il Giudice di Pace, con sentenza poi sostanzialmente confermata dal Tribunale di Udine adito in appello, riconosceva il risarcimento del danno per il ripristino dei luoghi sul presupposto che le infiltrazioni derivavano dal tetto dell’originario convenuto in quanto non vi era stata posizionata una conversa che evitasse l’infiltrazione delle acque piovane negli interstizi murari e quindi la penetrazione all’interno dell’immobile di parte attrice.

Successivamente, il proprietario dell’immobile dal quale provenivano le infiltrazioni propone ricorso per Cassazione contestando l’applicazione dell’art.908 cc in tema di scolo delle acque piovane – e sulla base del quale le pronunce di merito avevano stabilito che spettasse a lui di evitare che lo scolo delle acque provocasse danni al fondo vicino – in quanto, secondo la prospettazione del ricorrente, le lamentate infiltrazioni erano state causate non da acqua caduta per stillicidio dal tetto di sua proprietà ma da acqua caduta dal cielo e infiltratasi tra gli edifici a causa delle intercapedini esistenti.

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile ex art.360 bis cpc.

Rileva la Cassazione che l’art.908 cc (“Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino. Se esistono pubblici colatoi deve provvedere affinchè le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali…”) regola i rapporti tra proprietari dei fondi confinanti imponendo l’obbligo di edificare i tetti in modo adeguato ovvero apprestare accorgimenti idonei ad evitare che le acque siano convogliate sul fondo del vicino.

Diversamente, l’art.913 cc (“Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo. Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso….”) riguarda il deflusso di acque che scolano in modo naturale non potendo il vicino impedire che le acque piovane cadute e raccolte sul fondo altrui possano espandersi naturalmente nel proprio fondo, rientrando siffatta soggezione nei limiti normali di tolleranza insiti nei rapporti di vicinato; ciò presupponendo che l’immissione delle acque dal fondo vicino avvenga direttamente in via naturale e non per il tramite delle opere eseguite le quali alterino il decorso naturale delle acque meteoriche convogliandole nella proprietà adiacente.    

Pertanto – prosegue la Corte – poiché il fondo inferiore non può essere assoggettato allo scolo delle acque di qualsiasi genere diverse da quelle che defluiscono dal fondo superiore secondo l’assetto naturale dei luoghi, lo stillicidio sia delle acque piovane provenienti dal tetto sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall’esercizio delle attività umane (es: dallo sciorinio di panni stesi mediante sporti sul fondo altrui) può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù “ad hoc” (Cass. 7576/2007)

Il Giudice del merito ha ritenuto indubbio che i danni lamentati dal controricorrente derivassero dal tetto di proprietà del ricorrente che, appoggiato sul muro del primo, era privo di una conversa atta ad evitare l’infiltrazione delle acque piovane negli interstizi murari; evidente quindi l’inesistenza di quegli accorgimenti tecnici atti ad evitare che le acque si riversino nel fondo vicino coerentemente con la disciplina contenuta nel richiamato art. 908 c.c.

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